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Fare storytelling significa 'relazionarsi attraverso i racconti'
L’elemento distintivo di questo tipo di comunicazione è raccontare una storia attraverso parole, immagini e suoni che suscitino emozioni.
Che le storie siano divertenti, emozionanti o struggenti poco importa. Sono storie. E vanno raccontate. 
L’obiettivo è rendere molto più attraenti le narrative e creare una relazione empatica con il pubblico di riferimento. La relazione con gli utenti diventa così emozionante e coinvolgente.

 

L'EVOLUZIONE SOCIAL [FOR BUSINESS].

Instagram è sempre stato il canale preferenziale per condividere immagini a livello personale, tuttavia la sua evoluzione lo rende sempre più una piattaforma utile in ambito business. Il focus era di condividere istantanee di vita, ma ora è lo spazio dove tutti vogliono essere presenti: creativi, fotografi, aziende e soprattutto brandLe storie dei brand possono essere facilmente raccontate sui social media. I canali social rappresentano, infatti, una risorsa importantissima quando si vuol parlare di sé. Un’immagine, un video o una gif possono trasmettere sentimenti, idee, pensieri, realtà, stile e creare un legame forte con il proprio pubblico. Per un’efficace strategia di visual storytelling non basta descrivere un prodotto o servizio, bisogna introdurlo in un contesto, raccontare la storia che lo circonda, conferendogli un’aura di prestigio.
Vi lascio alcuni esempi:
Barilla
Ceres
General electric
Illy Caffè
Nike
Oreo
Starbucks

 

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L'IDEA DI STORYTELLING.

Senza dubbio creare un video che racconti una storia è il metodo migliore per suscitare interesse nelle persone e riuscire a creare un legame emozionale con il proprio audience, ma riuscire a realizzare un'idea di storytelling vincente non è per niente facile: ci vuole creatività e tanta originalità, per fare in modo che gli utenti parlino del tuo contenuto online, ma anche offline.

 

NOI [e PEPE].

Una buona strategia di marketing incentrata sullo storytelling ha bisogno di un ‘eroe’, un protagonista, con il quale il pubblico possa immedesimarsi. Dopo aver aperto il profilo Instagram aziendale, peperosavisualdesignci siamo accorte di quanto fosse difficile avere followers che ci seguissero con continuità e non lo abbandonassero, ma anche e soprattutto che mettessero dei like e commentassero i post. Dovevamo correre ai ripari se volevamo che il nostro profilo funzionasse! E trovare un modo per arricchire la nostra strategia di social media marketing. Dopo esserci documentate e dopo innumerevoli brainstorming, finalmente abbiamo individuato quella che ci sembrava la soluzione più adatta! Partendo da un file bidimensionale abbiamo dato vita a un 'esserino' in 3d.

Pepe è il suo nome. Nato da una calza da uomo, due etti di bambagia e un bottone, interamente fatto a mano, è diventato la nostra mascotte digitale. Il nostro ‘cantastorie'. Pur avendo una vita propria, fatta di gite fuori porta e ricca di amici con i quali passa il suo tempo libero e le feste, Pepe, vive nel nostro ufficio, sul nostro sito e sui nostri profili social e ci accompagna in ogni nostra avventura. Insomma, un compagno presente e fedele che racconta di noi, del nostro lavoro, delle nostre sfide, ma anche di sé, delle sue passioni e della sua quotidianità e lo fa in modo tutto suo!

Insomma, tutto questo per dire che la strategia sta funzionando perché Pepe e le sue storie hanno cambiato il nostro profilo Instagram, arricchendolo di followers e di like in davvero poco tempo, ma anche che il mondo social è in continua evoluzione e per questo bisogna trovare il modo di essere sempre originali e di renderci riconoscibili, differenziandoci e offrendo contenuti di qualità.

 

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GLI HASHTAG? PERCHÉ?

Non dimentichiamo l'importanza degli hashtag, predominante su questa piattaforma: naturalmente devono essere coerenti con la foto e con il contestoGli hashtag [quelli giusti] sono un elemento essenziale per migliorare la copertura e ottenere nuovi followers. Come primo passo si potrebbe creare uno o più hashtag, specifici, ufficiali, per invitare gli utenti a condividerli nelle proprie foto.
Noi abbiamo creato #pepechefacose e #pepemascotte.

 

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ALCUNI SPUNTI PER TE.

Vediamo insieme quattro modi per combinare insieme storytellingvideo e social media, per creare una strategia efficace e alcuni esempi di brand che ce l’hanno fatta.

1. MOSTRA AI FOLLOWER COME UTILIZZARE UN PRODOTTO TRAMITE UN TUTORIAL. Il più classico dei video prodotti dai brand [ES. The Home Depot].

2. PRENDI SPUNTO DA STORIE REALMENTE ACCADUTE AI TUOI CONSUMATORI. Postare storie raccolte direttamente da esperienze vissute dagli utenti in prima persona [ES. Airbnb].

3. CREA UNA WEB FICTIONAL SERIES. Davvero efficace per introdurre il tuo brand in una storia che possa intrattenere, divertire, emozionare il tuo audience, anche se senza dubbio è una delle strategie più difficili e più onerose a livello di tempo e di denaro [ES. Kate Spade New York].

4. CREA STORIE ANIMATE. Prendendo spunto dai cartoni animati, che piacciono sia ai piccini che ai grandi. Perché non sfruttare questa tecnica per creare uno storytelling che faccia tornare tutti un po’ bambini? [ES. Chipotle Mexican Grill].

 

LE NOVITÀ.

Non dimentichiamoci di una delle novità più interessanti anche in ambito business: le 'Instagram Stories'. Le Stories vivono una vita a parte, molto differente dalle classiche foto quadrate di Instagram. Sono contenuti separati ma nel contempo ben visibili. 'Instagram Stories', per le aziende, potrebbe rappresentare proprio una maggiore libertà espressiva, la possibilità di mostrare il dietro le quinte, come viene realizzato un determinato prodotto, la vita aziendale, il team, gli uffici, ecc.

Il successo di Instagram in fin dei conti è legato alla disponibilità di un’applicazione mobile' che ha grande facilità d’uso per condivisione e partecipazione.
Le immagini sono l’elemento essenziale online, una foto non ha bisogno di traduzioni, trasmette emozioni ed è in grado di incuriosire l’utente, portandolo ad approfondire il contenuto descrittivo.

Sei un po' curioso di conoscere Pepe e le sue ‘storie’?

Puoi cliccare qui https://www.instagram.com/peperosavisualdesign/ e seguirlo su Instagram.
E non dimenticare #pepemascotte!

 

 

 

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Tre parole che ci distinguono e illuminano il lavoro di Peperosa.
Queste sono il nostro augurio per un 2018 limpido e pieno d’incanto.

 

Aria
di Sara Bocchini

Elemento primario insieme a terra, fuoco e acqua, l'aria è fondamentale per la vita di ogni essere vivente (umani, animali e vegetali). Senza aria non ci sarebbe vita.

Ma mettiamo da parte il significato scientifico, nella comunicazione l'aria è intesa come lo spazio, il 'bianco', il respiro di un impaginato. Ed è questa parola che vorrei mi accompagnasse nel 2018. Perché troppo spesso vedo comunicazioni soffocate, piene di testi e immagini schiacciate l'una sull'altra senza un minimo di margine. Vorrei trasmettere l'importanza dell'aria, perché oltre una questione visiva ed estetica, aiuta anche a migliorare la leggibilità e a mantenere l'attenzione di chi guarda.

'C'è troppo spazio vuoto, aggiungiamo un’immagine, ingrandiamo il testo.'

Quante volte ho sentito questa frase... La verità è che una comunicazione fatta bene ed efficace non è data dalla quantità di testo, immagini o elementi (più roba c'è, meglio è) ma dall'impatto visivo che ha, bisogna riuscire a catturare l'attenzione e poi fornire le informazioni essenziali, senza far venire il mal di testa a chi la guarda.

Auguro un 'arioso' 2018 a tutti!

 

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Coerenza [e non solo]
di Tessa Cerruti

‘Credo ciò che dico, faccio ciò che credo.’
Victor Hugo

Coerenza si o coerenza no?

Personalmente ritengo che chiarezza e coerenza di comportamento [coerenza, non cocciutaggine, bada bene!] dovrebbero essere alla base delle persone, mentre sempre più spesso riscontriamo ipocrisia e incoerenza.

Anche nella comunicazione l’immagine si definisce coordinata quando tutti gli elementi comunicativi sono coerenti l’uno con l’altro. La coerenza si esplicita attraverso loghifontimpaginazionecolori, impostazione delle campagne pubblicitarie e tanto altro.

Dal momento che ogni azienda è portatrice di valori, sarebbe auspicabile che gli stessi trasparissero dagli elementi della comunicazione per presentarsi al meglio al pubblico a clienti e prospect.

L’immagine coordinata racchiude e porta a conoscenza dei prodotti, dei valori, dei servizi ma anche dello ‘spirito’ dell’azienda. Si costruisce nel tempo. Questo è il motivo fondamentale per il quale occorre costruirla in linea con missionobiettivi e valori.Dal momento che tutti gli elementi comunicativi parlano dell’azienda, la coerenza dell’immagine va dal logo, alla carta intestata, ai biglietti da visita, al sito internet, alla pubblicità e ad ogni forma di comunicazione interna ed esterna.

La coerenza è il pilastro della buona comunicazione.
Per imparare a comunicare in modo efficace occorre partire da se stessi.
La buona comunicazione parte dal cuore, dal desiderio di entrare in contatto con l’altro e trasferirgli non solo ciò che noi sappiamo ma anche ciò che noi siamo.

Essere coerenti significa allineare i nostri pensieri e i nostri valori al nostro modo di esprimerli.

Quindi… buona coerenza a tutti!

 

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Curiosità
di Marie Louise Denti

Tutte le volte che penso al significato che ha per me una parola di primo acchito mi rivolgo a quelli che la sanno più lunga. Di solito consulto il dizionario Treccani per vedere se la mia interpretazione del termine in questione ha qualche aderenza con la dottrina corrente.

Beh, nel caso di curiosità, Eureka!

Che cosa mi piace di questa parola da augurarti un anno zeppo di curiosità? Un sacco di cose direi, te le elenco qui:

  • desiderio di vedere, di sapere
  • amore per il conoscere, come stimolo intellettuale

desiderio e amore mi fanno subito pensare a un universo tenero, intimo e protetto anche se, crescendo, mi sono accorta che l’amore per la conoscenza implica spesso uscire dalla comfort zone. Uscire dai binari spesso fa paura ma... Don’t panic.
Anche se difficile esplora! Perché grazie alla curiosità arriverai in un luogo ‘più meglio’: più tenero, più tuo, più consapevole.

Per cui che aspetti? Che la curiosità sia con te!

 

 

 

 

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La teoria dei 7 secondi

Se è corretta la teoria dei sette secondi di Linda Blair e cioè che bastano 7 secondi per farsi un’idea di chi incontriamo per la prima volta, diventa di vitale importanza fare bella figura durante quei 7, brevissimi, secondi. 
Tic tac. Tic tac. Tic tac.

 

First date is coming…

In un contesto in cui la comunicazione tende al digitale ed è fondamentale avere uno snippet che sia performante, delle slide coinvolgenti, una presenza social che converta, come faccio a fare “bella figura” quando, finalmente, quel benedetto prospect entra nel mio cerchio della fiducia diventando cliente e, soprattutto, come faccio ad ammaliarlo durante il nostro primo incontro?

Anni di studio, corsi di formazione, workshop, webinar e chi più ne ha più ne metta [grazie n.d.r.] ci hanno insegnato che durante gli incontri di lavoro, veri e propri first date a tutti gli effetti, tutto parla di noi. Tutto narra la nostra storia. Per questo prestiamo la massima attenzione all’abito, all’atteggiamento, al sorriso (e vai di collutorio e filo interdentale), alle parole, insomma a tutte quelle tecniche che ci permettono di farci sentire al top, di presentare in modo convincente noi stessi, le nostre competenze e la nostra attività.

Stretta di mano. Si accomodi, prego. E poi? Poi c’è quel fatidico momento in cui tutti sono seduti intorno a un tavolo, o in contrapposizione (noi vs loro) o in formazione friendly (misti), ecco, quel fatidico momento in cui ci si scambia i biglietti da visita. Un gesto formale che serve sia a rompere il ghiaccio con la presentazione ufficiale, sia a iniziare la contrattazione, ma soprattutto serve a far vedere in quale campionato giochi.

 

Il biglietto di presentazione

Esistono pillole di letteratura dedicate al biglietto da visita, la prima volta che ne si accenna è in Francia, in un sonetto di Bernard De La Monnoye del 1716

“Les doigts les moins savants me taillent de la sorte,
Sous mille noms divers je parois tous les jours.
Aux valets étourdis je suis d’un grand secours:
Le Louvre ne voit point ma figure à sa porte.”

Mentre la prima apparizione italiana è nel Cavalier Giocondo di Carlo Goldoni, del 1755

“Partendo da Bologna, facendo a lei ritorno,
in visite una volta spendeva tutto il giorno:
ora con i biglietti supplisco a ogni impegno.
Ah! I Francesi, i Francesi hanno il gran bell’ingegno!"

In epoca più recente la più alta testimonianza del fatto che il biglietto da visita sia sinonimo di status si ha nella scena del film tratta da American Psyco, il romanzo di Breat Easton Ellis. Non sono quindi l’unica a pensare che il biglietto da visita abbia una funzione importante durante i meeting.

Nella nostra vita professionale quotidiana quante volte agli incontri di lavoro, dopo essere state contattate da un possibile cliente, Tessa e io ci accomodiamo intorno al tavolo ed ecco, arriva il fatidico momento. Il nostro interlocutore prende in mano il biglietto da visita. Lo tocca, lo ruota, lo gira sottosopra. Poi commenta: “Ah… si vede che siete creative!” con un tono di voce da cui traspare un leggero mix di indivia e stupore.

Quindi, diciamolo, il biglietto da visita è uno strumento di presentazione a tutti gli effetti. Da sempre lo considero tale anche grazie al fatto che il mio stampatore di fiducia (e ogni designer che si rispetti ne ha uno) nei preventivi li nomina ancora oggi “biglietti di presentazione”. Questo la dice lunga, sia sull’età dello stampatore [che comunque non è Gutenberg n.d.r.] sia sulla funzione dello strumento. Ma allora perché è così poco considerato e ci si investe così poco?

 

La bellezza sta nelle piccole cose.

Un biglietto da visita racconta di me, di quello che faccio (i miei hard skill) e, se ho prestato la dovuta cura e attenzione, parla anche di come lo faccio (i miei soft skill). Un biglietto da visita è uno strumento meraviglioso: una sintesi tra personalità e status.

Se fossi George Clooney (oltre a far felice le mie socie) direi “What’s else?”. In 85x55 mm dice chi sei, cosa fai, per chi lavori e lascia anche il modo di contattarti. Una strizzata d’occhio finale. Ed è questo che un biglietto da visita deve fare, è questo il suo sporco lavoro: deve essere pratico, funzionale e leggibile. Ma in un mondo interconnesso e veloce deve anche essere assolutamente bello. O meglio, ben progettato.

 

Materiali.

Quando parliamo di un biglietto da visita parliamo di un oggetto che ha una peculiarità unica e cioè che passa di mano in mano. È qualcosa di personale come una stretta di mano, qualcosa con cui in primis ho un approccio tattile. La sua struttura materica è quindi fondamentale per generare in me piacere o repulsione. E anche tanto altro.

Un biglietto da visita, prima di tutto lo tocco. Poi lo leggo. E quindi pensiamo bene al materiale in cui lo vogliamo fare e anche a tutte le sfaccettature dello stesso, perché sarà la prima cosa che il mio interlocutore percepirà. Una sensazione che si sedimenterà nel suo cervello. Detto questo la prima domanda è: in che materiale lo voglio? Lo voglio di carta? Cartone? Tessuto? Legno? Metallo? Policarbonato? Insomma, se lavoro in un ambito innovativo (la classica start up digitale) beh, mi aspetto qualcosa di diverso da un biglietto di carta.

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Peso.

Il discorso sul materiale non finisce qui, perché a questo si deve aggiungere il peso e il formato. Sul peso (e qui entro a gamba tesa) usatene uno importante. Che ci sia qualcosa da toccare. Non quei biglietti da visita che richiamano una stretta di mano senza personalità, molle. La consistenza è importante, nella vita come nelle presentazioni.

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Formati.

Sul formato, beh, possiamo lasciarci andare… fermo restando che il biglietto da visita viene di solito infilato nel portafogli o in tasca (o nel cosiddetto porta biglietti da visita). Quindi possiamo essere creativi, ma essendo uno strumento di lavoro porta dentro di sé, in maniera intrinseca, un concetto di funzionalità che non dev’essere dimenticato dal progettista, anzi dev’essere valorizzato per diventare la vera e propria sfida.

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Tecniche di stampa.

Ogni materiale ha le sue specifiche, che saranno nobilitate da tecniche di stampa adatte a “far parlare” il materiale. Importante è che anche in questo caso il progetto tenda a nobilitare il tipo di comunicazione che sottostà al progetto. Attenzione: nobilitare non vuole necessariamente dire impreziosire, ma è la conseguenza più coerente possibile con chi sono e cosa faccio. Un consiglio: siate creativi. Osate.

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E poi? Che cosa ci scrivo?

Questo è un altro capitolo. Quello che scrivo dipende molto da ciò che voglio far passare di me. Logo, nome, mansione e recapiti sono il must have del biglietto da visita, ma poi c’è tutto il resto che parla di noi. Non solo quello che scrivo ma come lo scrivo e dove soprattutto lo posiziono nello spazio del biglietto. Ecco, anche in questo caso vi consiglio di osare. Di rendere indimenticabile il momento in cui qualcuno prenderà in mano il vostro biglietto da visita e ci giocherà con le dita.

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Costo.

I biglietti da visita possono essere anche molto costosi: il mio consiglio è quello di trovare un giusto equilibrio tra costo, comunicazione e funzionalità. è inutile avere un biglietto da visita up to date se poi si hanno remore a darlo perché “caspita, è un investimento da 5,00 € cad.”.

 

Il corollario dei 10 secondi

Se è corretta la teoria dei sette secondi di Linda Blair, se ne può desumere un interessante corollario: quando diamo a qualcuno il nostro biglietto di presentazione (provate a cronometrare voi stessi) l’attenzione che gli viene dedicata va dai 5 ai 10 secondi. Per raggiungere i 10 secondi ci vogliono il materiale, il peso, il formato, la stampa e il contenuto giusti. Un secondo ciascuno, insomma.

Ma, come cantava il trio (già all’epoca passatello) Morandi-Ruggeri-Tozzi, “Si può dare di più”, perché il biglietto di presentazione deve far nascere una domanda da parte del cliente, una domanda non prevista dal tradizionale copione degli incontri lavorativi, che ci permetta di avere ai suoi occhi fin da subito una personalità distintiva.

Proprio come, quando si incontra una persona per la prima volta, dopo essersene fatti un’idea (vale a dire, come ormai sappiamo, dopo 7 secondi), si è spinti ad approfondire domandando qualcosa di personale oppure no.

 

 Hai bisogno di dare nuova linfa ai tuoi biglietti da visita e sistemare la tua identità?

Allora scrivimi!

 

 

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